comunicazione 2C’è un’Italia obliqua, inquietante. Dove circostanze in apparenza estranee l’una con l’altra, rivelano insospettabili tratti genetici comuni, che poi inevitabilmente producono il risultato, altrettanto comune, di consegnare uomini e donne al profeta di turno. Non è ardito allungare un paragone tra Don André e Grillo. Il primo è il prete protagonista dello scandalo che ha coinvolto l’associazione “Legio Sacrorum Cordiae” , finito al centro di un’inchiesta della Procura di Lanciano con un’accusa pesante. Ma, in questa sede, ai fini di un’analisi diversa, che prova a guardare dentro l’animo umano, non è questo il “particolare” sul quale concentrarsi, che resta oggetto di indagine della magistratura. Ben più stimolante, anche sotto il profilo sociologico, è una riflessione sul contesto, la cornice entro cui si sono svolti i fatti. Secondo il racconto di (ex) seguaci, l’associazione funzionava come una setta, dov’era difficile sottrarsi alle regole severe date da Don André, il quale gestiva la vita spirituale e materiale di tutti, preoccupandosi della santità delle anime dei vivi e dei morti. Ma non trascurava vari aspetti della vita terrena, a partire dalle indicazioni agli adepti su possibili fidanzati e fidanzate su cui orientarsi, in virtù della grazia divina che ispirava le sue scelte, o ingerenze in questioni familiari risolte spesso rivelando a un componente i peccati dell’altro, e viceversa. Così la pax era assicurata. Ma tanta “dedizione” richiedeva altrettanta obbedienza, perciò chi trasgrediva doveva espiare, con penitenze spesso plateali, perché era proprio la spettacolarizzazione della pena a renderla più esemplare, come le ormai famose frustate sulla schiena date con il rosario.
Dall’inizio di questa vicenda, che di particolari come questi ne offre parecchi, c’è una domanda che mi faccio con insistenza: com’è possibile che in una società evoluta e moderna come la nostra, democratica, aperta, ci siano ancora persone di ogni età e categoria sociale, disposte a consegnare la propria esistenza a un predicatore? Non mi stupisce l’esistenza di un don André, ma quella di qualche centinaio e più di cattolici che ne hanno legittimato il comportamento, autorizzandolo a dire e fare qualunque cosa. Aveva carta bianca sulla vita e sulla coscienza dei fedeli, che avevano rinunciato a quel livello minimo di giudizio che di norma permette di riconoscere un discorso serio da una baggianata, la realtà e la fantasia, la misura e l’esaltazione. La stessa considerazione viene spontanea davanti agli show di Grillo, dove puntualmente va in scena un delirio collettivo che tocca punte sempre più alte. Luoghi comuni, nella denuncia dei problemi e nelle improbabili soluzioni, riversati in quantità con l’arte dell’uomo di spettacolo su folle estasiate, disposte ad applaudire molte sciocchezze. A ogni occasione lui rilancia, e ne dice un’altra più grossa, e vai, ovazioni a non finire. Toni da apocalisse per partorire banalità assolute, a volte  mortificanti, eppure scandite da grandi consensi. Credito illimitato, ogni eccesso gli è  consentito.
Allora, con tutte le evidenti differenze, e con parabole di segno opposto perché uno è in disgrazia e l’altro in grande ascesa, non è azzardato accostare don André e Grillo, che si nutrono delle fragilità altrui. Dell’assenza di senso critico e di saldi punti di riferimento che rende deboli uomini e donne. Predicatori che alzano la voce per non dire nulla: entrambi in campo per combattere il Male, entrambi animati da voglia di rivincita e di prendersi uno spazio da protagonista nella vita sociale. E non gli è parso vero, al prete di diventare personaggio di primo piano nelle comunità parrocchiali, e al comico di richiamare platee, questa volta non paganti ma molto molto più numerose che in passato, pronte a benedire le sue boutades da politico emergente . La differenza è nei numeri, e nella portata del danno, ma le vicende si assomigliano. Il dato comune è che entrambi parlano a una folla disperata, e questo è l’aspetto più allarmante. Dev’esserci un vuoto vertiginoso nell’animo di chi ciecamente si consegna a soggetti che non hanno meriti né credibilità, ma possiedono forza e capacità per imporsi e dominare le coscienze. Il problema non è di poco conto, e racconta un disagio e una solitudine che ha mille forme, e che politica e istituzioni non possono più ignorare. “Uomini soli” era il titolo di una canzone dei Pooh di tanti anni fa, ma si addice come didascalia alle immagini di oggi, di questa gente sperduta, in cerca di qualcuno pronto a guidarne l’esistenza. E se sono soli, è perché qualcuno (o più d’un) ce li ha lasciati. A lungo. Non cogliere segnali così forti sarebbe una colpa grave, perché se il disagio sociale genera “mostri”, il pericolo cresce, e i danni sono per tutti. Allora la Chiesa potrebbe fare la propria parte nominando “pastori” veri e illuminati, e sappiamo che ce ne sono, facendo prevalere il rigore e senza cedere alla logica che bisogna accontentarsi perché “cisonopochipreti“. Altro tocca alla politica, che per recuperare la fiducia dei cittadini dovrà fare un lungo bagno purificatore nelle acque del Gange, come gli Hindu, e nel mentre trovare soluzioni vere, praticabili e sostenibili, ai problemi gravi che alimentano il disagio. Perché senza lavoro e senza soldi si finisce nella disperazione, e la rabbia prende strade imprevedibili.
Se scompariranno i santoni di turno, sarà perché noi tutti avremo recuperato dignità e libertà, e con esse la capacità di governare in proprio la nostra vita. Senza mai rinunciare a distinguere il vero dal falso, la prima regola per dei cittadini veri.